AFFIDI COATTI: Discorso davanti al Sinodo della Chiesa Evangelica nel Ticino
AFFIDI COATTI
Conferenza di Sergio Devecchi in occasione della sessione autunnale del Sinodo della Chiesa Evangelica Riformata nel Canton Ticino
Ascona, sabato, 09 novembre, 2019
Voglio dapprima ringraziarvi per avermi dato la possibilità di poter parlare in questa sede di un triste e buio capitolo della storia sociale Svizzera del secolo scorso.
Una premessa:
La mia lingua madre - l’italiano - sta pian piano scomparendo dalla mia testa. Sono ormai 60 anni che non la parlo più continuamente. Tuttavia, oggi ho deciso di provare a tenere questa conferenza in italiano, sicuro che mi perdonerete gli errori che commenterò.
Stà davanti a voi una vittima delle misure coercitive a scopo assistenziale. Una vittima, come decine di migliaia di altre vittime in Svizzera che hanno subito maltrattamenti di vario genere.
Parlo per le vittime nati illegittimi, provenienti da ceto povero e per questo motivo stigmatizzati dalla società.
Parlo per le donne, vittime di interventi chirurgici contro la loro volontà, sterilizzati, affinché non potessero mai più avere bambini.
Parlo per le vittime delle cosidette adozioni forzate senza il consenzo della madre. Tante madri sono state mentiti sul future dei loro bambini.
Parlo per le vittime rinchiusi per anni in istituti e in carceri senza decreto giuridico e senza aver commesso alcun reato.
Parlo per le vittime internate nelle case psyhiatriche e sottoposte a esperimenti chimici in collaborazione con l’industria chimica.
Tutto questo é successo nella Svizzera degli anni 30, 40, 50, 60 e 70 del secolo scorso, cié in un periodo non ancora lontano, e sempre sotto gli occhi delle autorità federali e cantonali, della politica e delle chiese. Erano più di centomila le vittime messi in istituti - quasi sempre di stampo religioso - o costretti al duro lavoro presso i contadini – in tedesco gli chiamiamo “Verdingkinder”. Chi ha visto il film “der Verdingbub“ di Markus Imboden sa di cosa parlo.
Più di sessantamila giovani donne e uomini sono state richiusi in case di correzioni e incarcerati sotto il benevolo titolo di „misure amministrativi“.
In un inchiesta del 1959, organizzata dall`allora Dipartimento delle Opere Sociali di Bellinzona risulta, che in Ticino i bambini e adolescenti richiusi in istituti erano ca. 3’000. Il Cantone Ticino nel 1958 contava ca. 180’000 abitanti. Una percentuale molto alta di misure coercitive a sfavore di bambini poveri, nati illegittimi che vennero sanzionati dai comuni, dal Cantone e messi in atto in collaborazione con la chiesa.
E non dimentichiamo i bambini di famiglie jenisch che la Pro Juventute, sotto il titolo “Kinder der Landstrasse” ha separato forzatamente dai loro genitori perche il loro stile di vita non era conforme alle usanze svizzere.
Ero ancora molto scettico, quando il 11 aprile del 2013 la Consigliera Federale Simonetta Sommaruga in un commovente discorso chiese scusa a nome del governo Svizzero alle numerose vittime presenti a Berna, scuse connesso con la promessa di istituire una commissione storica che facia piena luce su quello che nel secolo scorso é successo.
In quell’occasione, nel mio intervento finale di una persona toccata, dissi tra l’altro, che sembra davvero stia germogliando la volontà di far luce su un capitolo oscuro della storia sociale svizzera e che la giornata di oggi rappresenta un inizio promettente. Il fatto che l’intervento finale dell’evento commemorativo a Berna sia stato affidato a una vittima di misure coercitive a scopo assistenziale testimonia della serietà, dell’impegno assunto dagli organi politici, dalle chiese e dalle associazioni – si potrebbe chiamarla la “coalizione dei responsabili”, volto a elaborare insieme a noi, persone oggetto di queste misure, questo doloroso periodo del secolo scorso.
La commissione peritale indipendente internamenti amministrativi (CPI) istituita dal consiglio federale nel 2014 – Simonetta Sommaruga a mantenuto parola - ha pubblicato recentemente 10 volumi sulle ricerche storiche effettuate durante gli ultimi 5 anni. Un documento da brivido che rivela, come la Svizzera per tanti anni a gestito inumanamente i sui più deboli concittadini. La CPI ha rivelato varie forme di abuso dei poteri negli istituti, che vanno da abusi sessuali, lavori forzati e a punizioni simili alla tortura.
Anche a me mi é dolorosamente venuto a mancare l’ala protettrice della mia famiglia e anche dello Stato che avrebbe avuto la responsabilità e il dovere di salvaguardare di chi non ha avuto la fortuna di crescere insieme a una mamma e un papà. Tutti hanno mancato ai loro doveri. Poiché sono un figlio illegittimo e, secondo la mia ipotesi, provengo da una famiglia di bassa estrazione.
Sono stato strappato a mia madre quando ero ancora un bebè di pochi giorni e portato nell’istituto „Dio aiuta“. Per 11 anni ho vissuto a Pura, nel Malcantone e per 6 anni a Zizers, nella casa madre della Fondazione. Ho imparato a pregare, lavorare e obbedire.
É stato mia nonna, una donna pia e molto severa, che con l’aiuto dell’allora pastore della comunità evangelica di Lugano, Guido Rivoir, a provvedere al primo di tanti sradicamenti violenti nella giovane vita del piccolo Sergio. Un documento trovato negli archivi Della Fondazione „Dio aiuta“ mi da ragione dell’ipotesi, che il pastore Guido Rivoir a collaborato con Emil Rupflin, ufficiale dell’esercito della salvezza, fondatore e direttore della Fondazione “Dio aiuta”, un organizzazione che gestiva ricoveri per bambini in Svizzera.
Originale in tedesco:
"Die grosse Weisheit unseres Herrn hat uns den Weg zu Pfarrer Guido Rivoir nach Lugano gewiesen. Der Pastor weiss, wo die armen verlorenen Kinder im Tessin zu finden sind, Kinder die Schutz, Liebe und Gottes Segen brauchen. Der Allmächtige schenkte uns in Pura ein wunderbares Haus mit viel Umschwung, das bald mit der evangelischen Botschaft von Jesus Christus gefüllt werden kann. Für die Vermittlung durch Guido Rivoir sind wir dem Herrn unendlich dankbar“.
Nel 1946 il «Dio aiuta” di Pura iniziò le sue attività. 12 anni dopo, nel 1958, a causa di diversi eventi tragici (morte di un Bambino caduto dal balcone, suicidio di una collaboratrice, intossicazione alimentare ect.) l’istituto venne chiuso.
Avevo sette o otto anni – non me lo ricordo piu di preciso - quando sono stato battezzato contro la mia volontà dal pastore Pestalozzi, successore di Guido Rivoir. Non sapevo che cosa mi sucedesse, quando nella grande sala dell’istituto si riunivano tutti i bambini, le collaboratrici e collaboratori che noi dovevamo chiamare zii e zie, accompagnati dalla diretrice e dal direttore, cioé da papa e mamma. Quel battesino era un’altro passo verso l’emarginazione e la separazione della mia famiglia - un passo verso la solitudine. Infatti tutti i membri della famiglia erano cattoloci. Io ora facevo parte della comunita evangelica. Non so se i responsabili della chiesa evangelica di Lugano erano coscenziosi di quello che hanno combinato. Comunque nessuno della mia famiglia – a parte mia nonna, sono stati consultati. Non erano al corrente di nulla.
Nel Maggio dell’anno 1964, dopo la mia espulzione dall’istituto “Dio aiuta” di Zizers, in quanto il Cantone Ticino a smesso di pagare la retta per il mio soggiorno, a quasi 17 anni, fui rimandato a Lugano dove alloggiavo in una camera buia e sporca, tutto solo, impreparato alla vita che seguiva. Una forte nostalgia di casa – HEIMWEH – prese possesso di me.
Descrivo questo mio stato di una solitudine molto dololorosa nel mio libro “INFANZIA RUBATA” citanto un famoso scrittore ungherese:
Nel romanzo “Essere senza destino” Imre Kertész descrive, in una scena finale di grande effetto, il giovane protagonista che guarda la città di Budapest al tramonto. La luce e i rumori gli ricordano una certa atmosfera nel campo di concentramento di Buchenwald da cui é stato liberato poco prima – “e sentivo che una sensazione tagliente, dolorosa, vana si impossessava di mé, la nostalgia”.
Non voglio paragonarmi a una vittima dell’olocausto. Ma il processo psycologico che suscita in una giovane persona una nostalgia a fatica comprensibile dall’esterno era lo stesso. Sentivamo la mancanza di ciò che conoscevamo. Anche se era qualche cosa di brutto.
Il riscatto é avvenuto nel 1966, grazie al pastore della chiesa evangelica di Lugano, Erich Meier, uno dei successori del pastore Rivoir. Mi ha liberato da questo incubo di grande solitudine durato quasi due anni. Avevo toccato il fondo.
Gli é stato segnalato dalla direttrice del “Dio aiuta” di Pura, ormai trasformato in un albergo christiano, che a Paradiso vive un giovane bisognoso di aiuto, di cibo e di contatti umani. È stato per me la svolta decisiva. Ancora oggi sono pieno di gratitudine verso quell pastore e verso la chiesa evangelica di Lugano per avermi accolto senza pregiudizi nella loro comunità. Sono poi diventato membro del CVJM e successivamente presidente di questa organizzazione.
Piu di 40 anni piu tardi, scriviamo il 03 dicembre 2009, il mio ultimo giorno di lavoro, prima di andare in pensione, decisi di raccontare in pubblico per la prima volta in vita mia il mio percorso di bambino strappato alla famiglia e rinchiuso in istituti per tanti anni.
Per congedarmi avevo organizzato un convegno specialistico sull’evoluzione e l’efficacia dell’educazione in istituto in Svizzera.
Avrebbero partecipato relatori scentifici, professionisti del ramo. Un attore avrebbe letto brani dal libro “Anstaltsleben” di Carl Albert Loosli.
Già negli anni venti del novecento il giornalista e scrittore di Bümpliz stigmatizzava la realtà degli istituti, impegnandosi con la sua eloquenza in favore di un diritto penale minorile di carattere più umano. Anche a causa della propria esperienza dolorosa durante l’infanzia e l’adolescenza: Loosli era nato nel 1877 come figlio illegittimo ed era cresciuto in diversi istituti. Trovò quel coraggio rabbioso che a me é mancato per molto tempo rispetto al mio passato.
Perche questo lungo silenzio? Non é facile dare una risposta. È la vergogna profonda dei bambini cresciuti in istituto, con qui nessun argomento razionale la spunta. E sono le colpevolizzazioni interiorizzate. Per anni mi avevano dato a intendere che, come figlio illegittimo, valevo meno degli altri.
Diedi al convegno un titolo alquanto criptico: 60 anni di educazione in istituto, uno sguardo indietro al futuro e un addio. Un grande telo copriva il quandro svedese nella palestra del grande istituto che per 22 anni avevo diretto. Vi era proiettata una fotografia, l’unico mio ritratto da bambino all’età di circa sette anni, non so di preciso. La mia infanzia non é documentata.
«Una vita in istituto finisce», cera scritto accanto alla foto. “Quel ragazzino li”, disssi quasi per inciso dal podio dell’orartore, “sono io. Io sono cresciuto in un istituto”.
Questo outing ha segnalato l’inizio di una mia attività che domandava a tutta forza una riabilitazione completa a favore delle numerose vittime di misure corercitive a scopo assistenziale, una richiesta indirizzata alla Confederazione, ai Cantoni e alle Chiese.
Perche ricordiamolo, le vittime hanno dovuto sopportare un retaggio culturale d’ignoranza, il silenzo, la reppressione. La conseguenza é che molti hanno riportato ferite psychologiche gravi e dolorose, ferite difficili da guarire. Hanno lasciato vistose cicatrici.
Gli impulsi per riportare a galla e chiarire lo scandalo degli internamenti forzati non sono venuti dall’alto. Non dallo stato, né dalle chiese. Né tantomeno dalla “coalizione dei responsabili” o dai loro successori, responsabili di tanti abusi. Sono diventati complici oppure non hanno fatto nulla per correggere le ingiustizie.
Sono state le vittime stesse a farsi avanti con forza e coraggio. Le denuncie sono venute dagli ex-bambini confinati in istituti o da privati, spesso in famiglie contadine. Hanno poi testimoniato, di volta in volta, anche le vittime di angherie amministrative, di adozioni forzate, di abusi sessuali, di sterilizzaztioni e persino come gia detto di esperimenti medico-farmaceutici.
Le loro storie sono state divulgate dai media che hanno svolto un ruolo importante. Ricordo il documentario di Mariano Snider “cresciuti nell’ombra” andato in onda nel 2016 alla TV della Svizzera Italiana e che ha dato una spinta decisiva nel divulgare il tema anche in Ticino.
Gli storici hanno dal canto loro contestualizzato e consolidato I racconti delle vittime. Senza tutti questi contributi il triste capitolo di questa buia storia sociale Svizzera non sarebbe mai venuto a galla.
Ora le vittime si aspettano che la politica e le autorità eclesiastiche facciano piena luce, che rivelino in modo schietto le spiacevoli verità.
È immpossibile cancellare o annullare ingiustizie e abusi di tali proporzioni. Si può però fare la propria parte ammettendo ciò che é avvenuto, riconoscendo una realtà con tutte le sue traumatiche storie.
Si può chiedere scusa alle vittime come ha fatto la consigliera federale Simonetta Sommaruga e come lo ha fatto il Consigliere di Stato Manuele Bertoli per il Canton Ticino. Purtroppo le Chiese del Cantone Ticino sono sin d’ora mancati a questo appello. Non erano neppure presenti all’evento commemorativo organizzato dal Governo del Canton Ticino nel marzo del 2018 nella sala der Granconsiglio a Bellinzona.
Psycologicamente la richiesta di scusa é forse la forma più importante di conforto per le persone interessate.
Perché queste persone sono state private, un tempo, dei loro diritti. Oggi, rievocando quanto é accaduto, si può restituire a queste persone il bene più importante che é starto loro tolto: la consapevolezza di esistere e di essere sempre esistite.
La scritta dello scrittore Salman Rushdi calza a pennello:
“Chi non può raccontare la sua vita non esiste”
Oggi vi ho raccontato a stralci la mia vita da bambino e adolescente. Cio vuole dire che esisto.
Ma purtroppo devo dire anche questo: I responsabili del “Dio aiuta” hanno distrutto volontariamente tutti I documenti che mi riguardavano. Nessun protocollo, nessuna fotografia, niente racconti scritti sul mio comportamento da bambino. Nulla. Anche gli archivi cantonali non mi hanno potuto aiutare gran che. Un solo fogliettino é stato rintracciato nelle catacombe del dipartimento Opere Sociali su cui cera scritto: Sergio Devecchi, figlio illegittimo.
Piu tardi, grazie all’ingaggio del Direttore dell’archivio Cantonale, Marco Poncioni, sono venute a galla alcuni documenti riguardante le inchieste sulla paternità che pero non hanno portato nessuna chiarezza.
E ora?
La politica ha fatto il suo dovere. Nel 2014 il Parlamento Svizzero approva la legge federale concernente la riabilitazione delle persone internate sulla base di una decisione amministrativa, senza tuttavia concedere il diritto al risarcimento. Tre anni dopo entra in vigore la legge federale sulle misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari, e questa volta é previsto un contributo di solidarietà a favore delle vittime.
Fin qui tutto lodervole.
Davvero?
Tutte queste misure hanno migliorato la vita delle vittime?
Sono diventate più sicure, più coraggiose, piu forti?
Sono forse guarite le ferite inflitte dai ferventi religiosi, dagli pseudo pedagoghi mossi e abbagliati dal potere, dai contadini sfruttatori e da uno stato che ha fatto finta di non vedere?
Per poco tempo é tornato la speranza:
Veniamo capiti.
Non ci lasciano soli.
Sembrava veramente che la società si sentisse solidale con noi, che in passato eravamo spietatamente emarginati e collocati a servizio o in istituto. Anche gli archivi hanno aperto le loro porte sostenendo le persone coinvolte nel miglior modo possible, se i nostri fascicoli non erano stati deliberamente distrutti.
Ma adesso l’interesse pubblico per l’argomento sta pian piano scomparendo. E sorge la domanda: che ne é delle persone coinvolte?
La scienza dimostra: molte vittime di misure coercitive a scopo assistenziale in Svizzera soffrono di complessi disturbi post-traumatici da stress. Descrivono questo quadro clinico dai molti aspetti come “trauma particolarmente grave e duraturo dovuto a esperienze violente a livello psichico, fisico o sessuale ma anche a una trascuratezza emotiva nell’infanzia. Molti interessati si sentono indifesi e hanno la senzazione di avere poca influenza sulla propria vita.
La legge federale sulle misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari non menziona le ripercussioni gravi per la salute che si protraggono fino all’età avanzata. Proabilmente più per motivi di politica finanziaria che per ignoranza.
Riassumendo si può dire: La Svizzera ufficiale ha espresso le sue scuse alle vittime di misure coercitive e paga un contributo di solidarietà. Tuttavia i rappresentanti politici non sembrano disposti a offrire e finanziare un aiuto duraturo e più specifico mediante terapie adatte. Eppure il nostro paese vanta un numero sufficente di specialisti competenti nel trattamento di disturbi port-traumatici. Inoltre, come ora sappiamo, sarebbero disponibili anche i fondi. Molte persone che avrebbero avuto diritto al contributo di solidarietà, hanno rinunciato a presentare una domanda. Anche perché non sopporterebbero di essere riconfrontati con il proprio doloroso passato. Com`é emblematico.
Ma questo vuol dire che saranno utilizzati soltanto due terzi dell’importo di 300 millioni di franchi stanziato dal Parlamento. Secondo la legge la somma inutilizzata tornerà nella cassa federale.
O forse no? Le leggi non sono scolpite nella pietra. Il Parlamento può cambiarle. Basta la volontà politica. La volontà di non abbandonare le vittime ai loro problemi di salute in parte gravi. Si tratterebbe di un altro passo importante nel processo di elaborazione.
Ringrazio per avermi ascoltato con tanta pazienza.
Ringrazio la conferenza della Synode evangelica riformata nel Cantone Ticino per avermi dato la possibilità di parlare in questa sede.
Ascona, 09 novembre 2019/Sergio Devecchi