Discorso alla vernice della mostra speciale sui bambini all'appalto, al Ballenberg!
Gentili signore, egregi signori,
cari amici,
Enfances volées - Verdingkinder reden – Voci di bambini in
appalto! Un messaggio schietto e chiaro!
Era il 2008 quando sono entrato per la prima volta in contatto
con la mostra itinerante «Voci di bambini in appalto». A quel
tempo ero Presidente di Integras, Associazione professionale
per l’educazione sociale e la pedagogia specializzata, e a una
riunione abbiamo discusso con gli organizzatori la possibilità
di collaborare in vista della prima tappa della mostra
itinerante, nel 2009 a Berna. Io, che come migliaia di altri
bambini dati in affidamento coatto ho tenuto nascosta la mia
vita per anni, per vergogna e per un senso di colpa interiore,
per paura di nuove stigmatizzazioni, mi sono visto
all’improvviso assieme ad altre persone impegnate che si erano
poste l’obiettivo di togliere dall’ombra e di elaborare un
capitolo oscuro e a lungo rimosso della storia sociale
svizzera. Io, che avevo creduto di essere solo con la mia
triste storia, incompreso, sono stato improvvisamente
testimone di una toccante solidarietà da persone non
direttamente colpite, ma impegnate, che condividevano i nostri
destini, le nostre storie di bambini in appalto. Era una
novità! Era liberatorio, era una fortuna!
Sapere e vedere che grazie agli storici, ai ricercatori e a
coraggiose vittime delle «misure assistenziali coatte» il tema
della scandalosa e sotto il profilo umano sprezzante
assistenza di bambini e adolescenti in istituti, cliniche,
prigioni e fattorie era sempre più discusso nei dibattiti
pubblici mi ha dato la forza e il coraggio di spezzare la
tabuizzazione autoimpostami delle esperienze vissute da
bambino e da adolescente, e di rendere pubblica la mia «vita
interiore». L’ho fatto l’ultimo giorno della mia vita
professionale nel quadro di un seminario sul tema «60 Jahre
Heimerziehung, ein Blick zurück in die Zukunft und ein
Abschied». Devo essere in grande misura grato alla mostra
itinerante «Voci di bambini in appalto» se ho saputo compiere
questo passo dopo anni di silenzio. Mi ha dato il coraggio
necessario per raccontare pubblicamente la mia storia. Sono
sicuro che non solo io, ma molti bambini in appalto e altre
vittime delle «misure assistenziali coatte» che hanno avuto la
possibilità di visitare la mostra, hanno ritrovato grazie a
essa la loro lingua, la loro identità e la loro dignità. È un
sentimento liberatorio che fa bene! Lo mostrano eloquentemente
le testimonianze di persone che sono state bambini in appalto
che possiamo sentire e vedere alla mostra in rappresentanza di
tutti noi. Si vedono e si sentono persone che, finalmente
liberate dalla paura, liberate dalla vergogna e liberate dalla
colpa della loro infanzia e della loro difficile adolescenza,
riescono finalmente a raccontare con le loro parole i
sentimenti e il disagio psichico che hanno soffocato per tanto
tempo. Persone che accusano, persone che piangono e persone
che possono essere arrabbiate per le pene loro inflitte.
Perché chi non riesce a farlo rimane «per lungo tempo
estraneo» a sé stesso, come ha scritto il mio caro amico
Roland Begert nel suo libro Lange Jahre fremd.
Così come la mostra ha trovato temporaneamente casa qui al
Ballenberg, anche chi è stato bambino in appalto ha trovato
nella mostra un poco di quella casa negata durante i suoi anni
giovanili. Mi ricordo ancora bene di quell’uomo alla
Kernschulhaus di Zurigo. Mentre stavo dando un’intervista alla
televisione ticinese, camminava rumorosamente commentando ad
alta voce le immagini e le foto della mostra. E all’invito del
giornalista di aspettare fuori finché fosse terminata
l’intervista, protestò vivacemente dicendo: «Questa è la mia
mostra! Questo è il mio soggiorno, qui sono a casa». Aveva
ragione da vendere quell’uomo, ha detto quel che pensavo
anch’io.
Grazie anche al Museo del Ballenberg che ospita la mostra
«Voci di bambini in appalto», riconoscendo con coraggio che la
vita rurale del secolo scorso ha avuto anche zone d’ombra. La
maggior parte dei bambini dati in affidamento coatto ha fatto
brutte esperienze sui campi e nelle fattorie. Molti di essi
sono stati sfruttati in un modo indecente, umiliati e
costretti a un duro lavoro. Qui, in mezzo a queste belle case
contadine provenienti da tutta la Svizzera, la mostra «Voci di
bambini in appalto» farà riflettere, almeno spero, i
visitatori su quanto è accaduto una volta e su quanto non
dovrà mai più ripetersi né oggi né domani.
La mostra «Voci di bambini in appalto» mi ha fedelmente
accompagnato in questi anni e occupato nel vero senso del
termine. Per esempio, nella finestra regionale di Zurigo ho
potuto aprire con due adolescenti che vivono in istituto un
centro d’ascolto sul tema della partecipazione. Una bella e
toccante esperienza, anche perché quand’ero io ospite di un
istituto non mi fu mai chiesto che cosa desiderassi e che cosa
volessi avere. Questo esempio mostra come l’esposizione sappia
mettere in relazione il passato, il presente e il futuro del
collocamento di bambini e adolescenti. Questa concezione di
una volta, dell’oggi e del domani rende la mostra viva e
credibile. È per questo che mi sta molto a cuore.
Gentili signore, egregi signori, cari amici,
mi permetto in questa circostanza di esprimere un desiderio
del tutto personale:
cara mostra itinerante, viaggia ancora attraverso la Svizzera,
visitala tutta, fermati dove ancora non sei stata. Mi auguro
che il tuo messaggio possa raggiungere anche gli angoli più
remoti del nostro paese, affinché tutte le persone possano
vedere e sentire come una volta negli istituti e nelle
fattorie non sempre veniva fatto il bene dei bambini. Come
Ticinese, mi farebbe molto piacere poter visitarti a Sud delle
Alpi, magari al Castel Grande di Bellinzona, un luogo ricco di
storia. Sarà esaudito questo mio desiderio un giorno o
l’altro? Il mio cuore sarebbe colmo di gioia.